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Storia e carnevale a Venezia

"La Venezia del Settecento aveva la fama di essere la più gaia e contraddittoria delle capitali europee. I carnevali, in cui uomini e donne andavano mascherati e indulgevano alle libertà rese possibili dalla finzione, creavano uno spirito che durava tutto l'anno, un'aria di festa di cui era intrisa tutta la vita della città" (F. C. Lane)

Origine del termine "carnevale"

Due sono le interpretazioni storico-filologiche del termine "carnevale":
  • la prima deriva dalla interpretazione cristiana del latino "carrus navalis", che identificava i carri processionali a forma di nave, usati a Roma durante i riti di purificazione, nel mese di febbraio (ultimo mese del calendario romano)
  • nella seconda e più accreditata, il termine deriva dalla contrazione di due parole latine"carnem levare" (=togliere la carne) e si riferisce all'antica tradizione medievale di celebrare la fine di un periodo di divertimenti con un banchetto "di addio alla carne" la sera prima del mercoledì delle ceneri, in previsione dei digiuni e delle penitenze quaresimali.
Il carnevale è quindi oggi il risultato di una evoluzione e di una integrazione di tanti eventi storici, intervenuti nel corso dei secoli.
L'interesse di questo sito raccontare è concentrarsi sul carnevale a Venezia nelle sue salienti evoluzioni storiche e in particolare attenzione a una delle maschere più enigmatiche e più identificative: la bauta.

Il carnevale a Venezia dal 1100 al 1700

Prima dell'anno 1000 non si rilevano particolari evidenze sul Carnevale a Venezia.
Le prime tracce provate risalgono al XII secolo. Attraverso le cronache del tempo, si apprende che nel giorno del giovedì grasso si celebrava la vittoria del Doge Vitale Michiel II sul patriarca Ulrico di Aquileia (anno 1162) che aveva rapito le 12 marie (12 ragazzi vergini che Venezia sceglieva ogni anno e a cui conferiva una dote per i loro matrimoni). In memoria del tentativo di insurrezione soffocato nel sangue, ogni anno, i successori del Patriarca di Aquileia dovevano inviare a Venezia al Doge un toro, 12 pani e 12 maiali. Il toro era al centro di una sanguinaria corrida all'interno del Palazzo Ducale ed alla fine lacarne degli animali macellati e cucinati veniva distribuita durante i banchetti tra i nobili, il clero e il popolo mentre il pane era donato invece ai carcerati. Il giovedì grasso era anche chiamato per questo "berlingaccio" per esaltarne il tono ridicoleggiante.

Se ricercato senza regole, anche solo morali, il rischio di degenerare era sempre presente. Per tal motivo, la Serenissima in varie riprese dovette intervenire con leggi apposite anche in materia. Nell'anno 1268, il Governo veneziano proibii il gioco delle "ova" (lancio di uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli) agli uomini in maschera ed in particolare i mattaccini o buffoni.
A decorrere dal 1296, il Senato con un atto solenne dichiarava festivo anche il Martedì grasso ma agli inizi del 1300, le autorità promulgarono decreti per fermare il libertinaggio dei cittadini veneziani e l'eccessivo uso delle prime maschere in voga.
Dalla metà del '400 alla fine del '500, l'organizzazione delle feste carnascialesche veniva regolamentata e affidata alle "compagnie della calza", associazioni di giovani patrizi che indossavano calze con i colori tipici del sestriere di appartenenza.

A Venezia i rioni sono 6 e quindi "sestrieri". In onore dei vari sestrieri, ancora oggi, tante sono le listelle sui pettini di ogni gondola.

Le consuetudini e le occasioni hanno reso magnifico e sfarzoso il carnevale di volta in volta e di anno in anno si consolidavano...
E' curioso notare le attenzioni che venivano dedicate alla denunce segrete deposte tramite le bocche delle verità tanto che tra il 1588 e il 1647 si arriva addirittura a una consuetudine invalsa e legiferata dal Senato: "si accettano con 2/3 dei voti del Consiglio dei Dieci denunce segrete sottoscritte per giuramenti falsi, bravi, vagabondi, permute e baratti di ballotte, se riguardano maschere, archibugi e barche."
Un'altra serie di anedotti riguardanti il Carnevale Veneziano attorno al 1500 è ampiamente descritta nei "Diarii" del Sanudo.
Nel 1608 mascherarsi era diventato uno status tanto che il Governo della Repubblica di Venezia fu costretto a decreti per imporre regole ben specifiche:
  • le maschere non potevano girare di notte per la città
  • non ci si poteva introdurre mascherati da donne nei monasteri e nelle chiese
  • il divieto alla maschera alle prostitute in pubblico
  • il divieto di portare la maschera agli uomini che frequentassero i casini o bordelli
  • il divieto di portare la maschera durante il periodo della peste (gli unici erano i medici che con le loro protezioni cercavano di evitare i contagi)
  • il divieto di indossare maschere nei periodi che non fossero quelli di carnevale
  • niente armi, niente schiamazzi di gruppo o il permesso di indossare maschere a orari prestabiliti solo dopo mezzogiorno.
Con l'accezione "maschera" si indica tutto ciò che nasconde o deforma l'apparenza o la realtà, quindi un travestimento con abito, o una sola maschera al volto che camuffa la voce o non riconoscibile chi la porta e "maschera" era anche la donna vestita da uomo e viceversa (come ad esempio la gnaga)
Durante i giorni di festa, oltre alle feste private, molti spettacoli di grande attrazione e prestigio erano organizzati per i ricevimenti del Doge e di tutte le autorità del governo in onore di ospiti stranieri di alto rango e potevano essere ammirati dalle balconate del Palazzo Ducale, nella piazzetta di S.Marco.
Si poteva assistere a:
  • la Macchina dei Fuochi, con i mirabolanti effetti pirotecnici
  • le Forze d'Ercole, dove i Castellani (abitanti dei sestrieri di Castello, SanMarco e Dorsoduro) affrontavano i Nicolotti (abitanti degli altri sestrieri) con una grande prova di resistenza tra due piramidi umane.
  • Il ballo della moresca, che era una romantica danza di guerra con spade iniziata nel XII-XIII secolo e che rappresentava uno scontro tra cristiani e mori. Questa danza fu eseguita particolarmente nei carnevali del '600 e del '700.
  • La corrida col toro nella corte di Palazzo Ducale
  • Il volo della colombina o dell'angelo. Inizialmente era il tentativo di un prigioniero turco di camminare lungo una fune che collegava il campanile alla loggia di Palazzo Ducale per consegnare al Doge un dono e ricevere la grazia e la libertà. Col passare degli anni, la camminata sulla fune fu sostituita dal meno pericoloso volo dell'angelo, che era una persona imbragata sempre lungo lo stesso percorso e che simboleggiava la pace. Successivamente l'angelo fu sostituito dalla colombina, che liberava coriandoli durante la discesa. Solo in questi ultimi anni si è tornati allo spettacolo dell'angelo.
Nella tradizione storica italiana, il carnevale è sempre stato festeggiato nei giorni antecedenti l'inizio della quaresima.
A Venezia invece nel XVIII secolo arrivò a impegnare periodi più lunghi, con una anteprima ai primi di ottobre in coincidenza dell'apertura dei Teatri, una breve sosta per il Natale e riprendeva fino al mercoledì delle ceneri.
Il carnevale vero e proprio iniziava il giorno di S.Stefano, quando il governo dava la licenza di portare la maschera. I festeggiamenti culminavano il Giovedì Grasso e si concludevano il giorno antecedente il mercoledì delle ceneri.
A contribuire maggiormente nei festeggiamenti, va considerato che Venezia era una delle poche città in tutta Europa a contare un elevato numero di teatri, tra questi: il teatro S.Salvador (oggi conosciuto come teatro Goldoni), S.Cassiano, S.Angelo, S.Moisè. Si aggiungevano anche altri tre teatri di proprietà privata: S.Giovanni Crisostomo (oggi Malibran), il S.Samuele ed infine il S.Benedetto, che dopo essere stato distrutto da un incendio e dopo varie diatribe legali rinacque sotto una nuova forma, il teatro "la Fenice".

Il Carnevale inizialmente nato come fenomeno culturale, col passare dei tempi assunse una connotazione anche economica. Questi festeggiamenti incuriosivano ed attiravano personalità importanti da tutta Europa, oltre che contribuire ad alimentare le entrate della città, messe in crisi dalla perdita di interesse dei commerci verso l'Asia dopo la scoperta delle Americhe. Infatti il nuovo continente offriva terre nuove, nuovi prodotti e spezie e in ogni caso più facili da raggiungere rispetto all'Oriente, che al contrario presentava sempre più problemi politici per la presenza dell'impero ottomano e le notevoli incertezze sugli arrivi dei carichi.

Venezia restava tuttavia un punto di transito obbligato tra l'occidente e l'oriente, dove confluivano persone di varie estrazioni, nazionalità, cultura e forse anche per questo uno dei punti nevralgici in Europa dell'attività spionistica.

Carnevale significa quindi rappresentazioni nei teatri, nei palazzi, nei caffè e nei ridotti, ma soprattutto era un clima di festa diffusa in cui popolari e nobili in maschera si mescolavano per calli e campielli. In questa atmosfera, la maschera rappresentava l'unica possibilità di una società molto eterogenea e con forti barriere sociali, per distinguersi ancora di più o per essere considerati tutti uguali e annullare con l'anonimato queste differenze e goderne i vantaggi che questo nuovo status comportava.
Sul finire del XVII secolo, la maschera a Venezia per antonomasia era la bauta.
La bauta era d'obbligo nelle cerimonie ufficiali e alle feste pubbliche o per la frequentazione delle malvasie (o botteghe del vino).
Al contrario la bauta era vietata negli incontri nei conventi, nelle riunioni private del Consiglio dei Dieci ed ad alcune persone (i croupiers e i barnabotti, cioè aristocratici decaduti) nei ridotti e in particolare nelle case da gioco pubbliche e gestite dallo Stato Tra questi il più famoso era il ridotto di S.Moisé, che veniva aperto esclusivamente durante il carnevale e che restò attivo tra il 1638 e il 1774.

Una testimonianza insolita su queste condizioni è data da una memoria dell'abate Marco Marchetti dove raccontando la sua vita a Venezia nel XVII secolo, riferisce di un discorso tra il figlio dell'ambasciatore spagnolo a Venezia con un'ignota maschera sul ruolo politico degli Inquisitori veneziani.
Ci sono anche varie riflessioni di Montesquieu leggendo le sue memorie sulla appariscenza e il fulgore del carnevale veneziano. Tale evento era tanto importante da non poter essere interrotto: il caso più eclatante fu la morte del doge Paolo Renier avvenuta attorno al 13 febbraio 1789, ma comunicata solo il 2 marzo seguente, al termine di tutti i festeggiamenti.

Fine del carnevale storico di Venezia

Il carnevale ufficiale nella città lagunare terminò nel 1797, quando con trattato di Campoformio, Venezia fu ceduta all'Austria che bandì molte usanze e tradizioni.
Sopravvissero soltanto le magnifiche feste private dentro i palazzi fino a metà ottocento e dopo l'unione al Regno di Italia, non si hanno più tracce storiche evidenti.
Uno degli ultimi carnevali privati a Venezia di cui si ha memoria è quello organizzato dalla Marchesa Casati nel 1913 che affittò addirittura piazza S.Marco per una festa a livello internazionale.

Reintroduzione del carnevale di Venezia

A partire dal 1979 alcune associazioni cittadine hanno ridato vita ad una tradizione ormai abbandonata e per la quale Venezia era al massimo anche se di decadente splendore nel settecento. A oggi, si promuove e si organizzano in collaborazione con altri enti e società le manifestazioni carnevalesche che si svolgono a Venezia e sulla terraferma nei dieci giorni antecedenti la quaresima.