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Le altre maschere

Possiamo distinguere tre grandi categorie di maschere utilizzate durante il carnevale a Venezia.

MASCHERE CLASSICHE:
  • la bauta
  • la servetta muta detta anche moretta (una maschera piccola scura che si reggeva solo grazie a un bottone interno da stringere coi denti caduta in disuso dopo 1760) e utilizzata molto dalle popolane o dalla media borghesia.
  • la maschera muta, o senza taglio della bocca, che aveva la capacità di deformare la voce e consisteva un mantello con cappuccio e la maschera stessa
  • la gnaga (maschera indossata dagli uomini per impersonare figure femminili) consisteva in un uomo vestito da donna e che usava una maschera da gatta imitandone il miagolare e con un gattino in un cestello al braccio.
Queste maschere erano quasi dei comuni accessori da indossare durante il carnevale o nella vita quotidiana.
Particolare attenzione al medico della peste, che veniva indossata in casi di necessità pratica (epidemie di peste); il suo lungo naso conteneva una specie di filtro composto da sali ed erbe aromatiche disinfettanti: rosmarino, aglio, ginepro. Successivamente questa maschera acquistò, nel rituale del carnevale veneziano, un significato scaramantico e di esorcismo contro ogni malattia contagiosa.

MASCHERE DI FANTASIA:
Adoperate per le feste sontuose o nei palazzi durante il carnevale (es. maschere antropomorfe, maschere piumate ecc...)

MASCHERE DELLA COMMEDIA DELL'ARTE:

La finalità di queste maschere era quella di rappresentare una figura predefinita: Arlecchino come servo intelligente, Pantalone come il vecchio ricco ma avaro, Colombina che era la serva buona e moglie di arlecchino. Uscendo da Venezia si incontrano maschere d'arte come Pulcinella che impersonava l'istrione e a seconda di come poneva il cappello già identificava uno stato d'animo. Ogni maschera della commedia dell'arte poi ha radici locali.

Le prime notizie sulle maschere e le scuole di "mascareri" ossia i fabbricanti di maschere risalgono al 1271. Questa corporazione era nata molti secoli prima e poi fu riconosciuta con uno statuto e accorpata con altre professioni solo a partire dal 1463.

La produzione utilizzava argilla per il modello, gesso per il calco, carta pesta, colla di farina, garza ed infine coloranti.

Nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe autorizzate di maschereri con 31 lavoranti quando in realtà se ne contavano molte di più.

La bauta era nata comunque per nascondere, divenuta poi una moda ed uno status-symbol. Effettivamente non è una maschera che ricordi fattezze animali o abbia fini grotteschi, la bauta doveva nascondere così come un equivalente nel domino francese.


Due frasi significative:

"A carnevale, sono quello che non sono..." (F. Roiter, uno dei maggiori fotografi del Carnevale di Venezia)

"Non sei tu che ti metti la maschera, ma è la maschera a mettersi te..." (A. Scarsella)